Posto un articolo lungo, quindi chi ha voglia se lo legga per approfondire, chi non ha voglia riassumo: “giusto stare attenti alla nuova variante e monitorare la sua evoluzione, giusto anche essere preoccupati, ma tutto ciò che stanno facendo i media é terrorismo vero e proprio, al momento ancora non si hanno evidenze per valutare quale impatto potrà avere omicron”
"NU"-OVA VARIANTE (Omicron)
di Mario Puoti, Paolo Bonilauri e Aldo Manzin
La nuova variante B.1.1.529 (Omicron, secondo le ultime indicazioni) fa già parlare di sé ed ovviamente se ne parla, al momento, con i pochi dati preliminari a disposizione. Per la serie “ne stiamo scrivendo ma ce ne stiamo già pentendo”. Tuttavia, in questo momento in cui la “neonata NU” è già sulla bocca di tutti, il nostro tentativo nel rispondere alle vostre domande è di indicare un punto di mezzo tra il riduzionismo e l'allarmismo, ovverosia "ne sappiamo ancora poco".
Con l’emergere di nuove evidenze seguiranno maggiori approfondimenti a cura dei nostri autori nei rispettivi ambiti di specializzazione.
Occasionalmente le varianti cambiano le caratteristiche biologiche del virus, in generale in due modi possibili: 1) possono incrementare l’efficacia di trasmissione del virus (tra le persone o gli animali) o 2) possono rendere il virus meno somigliante alle versioni precedenti, modificando così la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscerlo (immune escape).
La nuova variante è stata identificata questa settimana in 3 paesi: Botswana, Sudafrica e Hong Kong (viaggiatore di ritorno). In Sudafrica è stata evidenziata nella provincia del Guateng, in cui si è riscontrato un discreto aumento dei casi, soprattutto - va sottolineato - tra i bambini e i giovani non vaccinati. Già arrivano segnalazioni di isolamenti della variante Omicron anche in Europa (prima identificazione in Belgio in una donna che ha viaggiato in Egitto passando dalla Turchia).
Perché si parla di nuova “Variant of Concern -VOC-”, quindi qualcosa per cui dovremmo preoccuparci?
Perché presenta diverse mutazioni in differenti porzioni virali, e alcune di queste si ritrovano a livello della spike che, come sappiamo, è la chiave di accesso del virus alle nostre cellule e proteina bersaglio principale degli anticorpi.
Questo fa ipotizzare che la risposta neutralizzante verso questa variante possa essere ridotta e che il nostro sistema immunitario possa non neutralizzare il virus efficacemente come vorremmo, rendendolo così più trasmissibile.
Tra le mutazioni acquisite dalla nuova variante, nove sono già conosciute e viste in altre VOC: tra queste la delezione 69-70, come in Alpha. A questa mutazione è dovuto il fenomeno del cosiddetto “S gene dropout”, cioè l'identificazione presuntiva direttamente dall’analisi dei risultati ottenuti nei test molecolari (Real Time RT-PCR con 3 target genetici differenti) permettendo di porre il sospetto della presenza di Omicron già in sede diagnostica e facilitare il tracciamento molecolare. Questo fenomeno è stato già visto, come dicevamo, per la variante Alpha: questa, così come tutte le altre varianti, è stata identificata tramite sequenziamento molecolare. Tuttavia, utilizzando i metodi di amplificazione genica che rilevano la presenza di tre geni differenti del virus, in caso di negatività per il gene S e di positività per gli altri due target molecolari, si può sospettare la presenza di una variante diversa da Delta (che da positività per tutti e tre i target).
A queste mutazioni già note (perché già viste in altre varianti) se ne aggiungono altre tre mai viste prima che, probabilmente, conferiscono al virus proprietà biologiche significative: A67V, N440K, E484A - con E484A che si ritrova in un punto chiave nel dominio di legame del recettore (RBD). Altre undici mutazioni (G446S, Q493K, G496S, Y505H, T547K, N764K, D796Y, N856K, Q954H, N969K, L981F) sono invece completamente nuove, per cui dovremmo aspettare dati funzionali per attribuire loro una valenza biologica. A corollario di queste si aggiungono altre nuove mutazioni (G339D, S371L, S373P, S375F) che, a differenza di quelle appena descritte, sembrano avere dei correlati di funzionalità: una delezione/sostituzione/inserzione nel dominio N - terminale, che potrebbe ulteriormente rimodellare la struttura della proteina; un gruppo di quattro sostituzioni vicine (tre nello spazio di cinque aminoacidi) mai viste finora. Infine, le mutazioni S477N e Q498R che, secondo uno studio di evoluzione sperimentale (
https://www.nature.com/articles/s41564-021-00954-4) potrebbero, in associazione con la mutazione N501Y, aumentare significativamente il legame col recettore ACE2: queste modificazioni non erano ancora state viste insieme. Si rilevano anche molteplici (forse funzionali) mutazioni in geni diversi da quelle presenti sulla spike: in particolare, R203K e G204R nel nucleocapside, anch’esse probabilmente correlabili con una maggiore trasmissibilità della variante. Ultima osservazione: questa variante presenta due mutazioni sul sito di clivaggio della furina - P681H (visto in Alpha, Mu, Gamma) e N679K (visto anche in C.1.2).
Omicron è una variante nuova e ciò che gli scienziati stanno cercando di capire è se le mutazioni presenti possano avere un impatto reale sulla trasmissibilità del virus, sulla capacità di dare una malattia più severa e di interferire sull’efficacia della protezione vaccinale. Rimangono, comunque, ancora tutti dei "SE" (siamo dunque nell’ambito delle ipotesi).
Sostanzialmente ancora si sa ben poco e, sebbene si debba prestare sempre attenzione all'emergenza di nuove varianti, è illogico far scattare il panico (cosa che, puntualmente, è però già successa grazie al rimbalzo mediatico che ha avuto da subito la notizia dell’identificazione della variante Omicron).
Fino a due giorni fa, sulla scorta di alcune evidenze riportate da un gruppo di ricercatori giapponesi (in Giappone si assiste ad un sostanziale crollo dei casi attuali ed alla scomparsa della circolazione della variante Delta), si discuteva sulla possibilità che la variante Delta potesse essere considerata l’ultima “super variante”, perché il virus nella sua rincorsa al “perfezionamento” verso l’acquisizione di una maggiore trasmissibilità avrebbe raggiunto una “soglia” di variabilità oltre la quale non gli sarebbe più consentito accumulare ulteriori mutazioni (è il concetto della “lethal mutagenesis” che, in parole povere, significa un suicidio del virus, al momento poco credibile). Evidentemente, l’identificazione di questa nuova variante dimostra però che il potenziale del virus non si è ancora esaurito. Occorre tuttavia prendere in considerazione che Omicron è probabilmente il risultato di una serie di ricombinazioni che si sono verificate in un soggetto (probabilmente immunodepresso, forse HIV-positivo), in cui il virus persisteva da un po’ di tempo e in un contesto (geografico, socio-economico, epidemiologico) di bassissima copertura vaccinale e di co-presenza di fattori favorenti la circolazione del virus in soggetti fragili (HIV positivi, immunodepressi, affetti da TBC, ecc.).
Non sappiamo quindi quale capacità di penetrazione potrà avere questa variante in contesti completamente differenti e se sarà in grado di rimpiazzare la Delta sostituendosi ad essa. Per far questo dovrebbe avere maggiore capacità di trasmissione e di elusione delle difese immunitarie dell’ospite. Possiede Omicron queste caratteristiche? Semplicemente, al momento, non lo sappiamo con certezza. Per saperlo avremmo la necessità di disporre di dati funzionali, che ovviamente ancora mancano. Siamo in grado solo di ipotizzare che la presenza di alcune mutazioni nella Spike (e non solo), già descritte in altre varianti, possano correlare con una maggiore trasmissibilità del virus (ma non necessariamente superiore alla Delta) o con la capacità di sfuggire alla protezione conferita dagli anticorpi indotti dalla vaccinazione o dall’infezione naturale. Questo scenario è possibile, ma non sicuro, in mancanza di studi ed evidenze che al momento non ci sono. La presenza di segnalazioni in Europa ci dirà presto qualcosa. Ma giova, comunque, ricordare che una possibile riduzione di efficacia degli attuali vaccini sulla contagiosità della variante non significherebbe necessariamente una riduzione o una perdita di efficacia nella protezione dallo sviluppo della malattia e dalle forme più gravi, o dalla morte: così non è stato per altre varianti fin qui circolate, anche quelle più trasmissibili, come appunto la Delta. E ancora: una ridotta capacità neutralizzante degli anticorpi (da vaccino o da infezione naturale) non esclude che altre componenti della risposta immunitaria (l’immunità innata e l’immunità cellulare) non siano mantenute, considerando che esse sono rivolte verso bersagli meno soggetti a mutazioni.
Una cosa è certa: il virus tende naturalmente a perfezionarsi, a trasmettersi con più facilità, ad eludere l'effetto dei farmaci e dei vaccini. Ma per fare questo ha necessità di trovare un ampio bacino di soggetti suscettibili, in cui moltiplicarsi e mutare: per impedire questo dobbiamo neutralizzare la sua capacità di replicarsi e di modificarsi. Come? Con i vaccini, ovviamente (e dobbiamo continuare a farlo, estesamente, in questa parte del mondo) preoccupandoci, nel frattempo, di quello che succede nel resto del Globo, ad esempio in Africa, che, parimenti ad altre estese zone del mondo, rappresenta un incubatore importante per la circolazione del virus a causa del ritardo inaccettabile nelle politiche vaccinali.
QUALI CONCLUSIONI, DUNQUE?
Non si può prevedere in maniera certa quanto e come muterà ancora il virus
Non possiamo valutare, allo stato attuale, l’impatto che altri fattori potrebbero avere nel favorire la diffusione di una variante che eventualmente acquisisca una intrinseca capacità di iper trasmissibilità: ci riferiamo alle misure di contenimento non farmacologico (mascherine, distanziamento, igiene delle mani), che comunque hanno contribuito da noi a ridurre l’impatto della circolazione della variante delta
L’ emergenza di nuove varianti dipende grandemente dallo stato vaccinale della popolazione (che in Sudafrica, e non solo, è particolarmente bassa). Rimane quindi il dubbio di cosa potrebbe succedere in Paesi con alto tasso di vaccinazione: ma anche in questo caso bisogna aspettare e vedere.
Non ci sono al momento elementi sufficienti per considerare questa nuova variante un'emergenza assoluta. È senz'altro importante tracciarne la diffusione e verificarne urgentemente le caratteristiche attraverso studi di funzionalità, così come è stato sempre fatto con le precedenti varianti.
È fondamentale accelerare il ritmo e l’offerta vaccinale a livello mondiale per tutte le ragioni già sopra specificate
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